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La morte non arriva

La morte non arriva

Racconto di drikkol_pesh
Mi svegliai dopo ore…o minuti,non lo sapevo allora e non lo so adesso.
Le mani legate alla sedia e le gambe altrettanto,che fare?...non ne avevo idea.
Un dolore lancinante mi lacerava le carni ad ogni respiro; le ossa sbattevano contro la pelle e sembrava volessero uscire da quel corpo che ormai era solo l’involucro di quello sconvolgente dolore. Inspira. Espira .Inspira. Espira…le costole contro i polmoni…. Sentivo come degli aghi...che cercavano di forare le membra di quelle sacche che sarebbero dovute essere colme d’aria e che invece contenevano solo sangue…il mio sangue?...Non ne ero certo…Sangue che pulsava,che continuava a riversarsi lì anziché nelle vene,a breve si sarebbero riempiti i polmoni e avrei terminato di respirare. Tutto quel liquido rosso,un rosso vivo,quasi allegro,sarebbe uscito da qualsiasi cavità del mio corpo,milioni di rivoletti sarebbero andati ad otturare le orecchie…il naso…la gola si sarebbe chiusa,le ferite non ancora rimarginate si sarebbero riaperte di lì a poco e anche da lì il sangue avrebbe fatto capolino,come un cucciolo di canguro dal marsupio dell’amorevole madre.
Dagli occhi,perfino…le mani iniziarono a dolermi più di prima…un dolore acuto,evidentemente il sangue non stava affluendo e i muscoli ne risentivano.
Nel buio totale,quasi riuscivo a vedere quelle braccia bianche,cadaveriche, scheletriche…quasi brillavano in quella oscurità tetra e spaventosa che fin da piccolo m’aveva terrorizzato. Il momento era vicino,me lo sentivo…le palpebre pesanti che tremavano,le caviglie intorpidite,non cercai nemmeno di muovermi,rimasi in attesa…in attesa di quella mano che immaginavo calda…quella mano che mi avrebbe preso e mi avrebbe condotto nell’oblio. E così stavo per morire,giusto?Che ne sarebbe stato del mio corpo?,nessuno l’avrebbe mai trovato…a meno che qualcuno sapesse che mi trovavo lì…I pensieri mi tormentavano…La gente che mi conosceva che avrebbe pensato della mia scomparsa????...Di certo non se ne sarebbe accorto nessuno,la mia vita:insignificante. Mi venne in mente un film in cui il protagonista pensava esattamente tutto quello che stavo pensando io in quei minuti,mi resi conto che quello che stavo facendo era recitare un copione. Tutte le storielle che m’ero raccontato sul sangue che mi avrebbe ucciso…tutte bugie,non avevo idea di quello che sarebbe accaduto ma desideravo morire da anni,quale se non questo sarebbe stato il momento migliore per portarmi alla morte?...Per tutta la vita ero scappato dagli spettri del mio passato,per tutta la vita m’ero nascosto,come un codardo,un vigliacco,un coglione!...Il disprezzo che provavo per le mia incapacità di reagire era…indecifrabile,forse lo è tuttora. La testa intanto mi pulsava e delle fitte tremende…ancor peggiori delle precedenti,mi dilaniavano le il cervello,tutti quei pensieri erano stati eccessivi per quel momento di dolore. Ad un tratto un flash,una luce abbagliante mi accecò e capii di essere morto…o quantomeno…lo desiderai. Non accadde nulla,non morii e rimasi lì su quella maledetta sedia,intontito dalla luce. Qualcosa era per forza successo. Sentivo una sorta di presenza…eh…quando si dice: “il sesto senso”…c’era qualcosa lì accanto a me.
Qualcosa di piccolo,forse un qualcuno. Realizzai che i piedi erano ricoperti di insetti,li riconobbi:scarafaggi bastardi. Quegli esserini con quelle loro orride zampette tastavano la mia pelle. Fredda. Milioni di scarafaggi mi ricoprirono le caviglie,le ginocchia…infine le cosce…Ero paralizzato,questa volta non dalle catene che mi tenevano legato,ma dall’orrore…dalla paura. Il cuore si fermò,o almeno è quello che provai…come se un coltello vi si fosse conficcato in mezzo e l’avesse stoppato,come se quegli tesserini avessero premuto in me il pulsante: standby . Per farmi stare immobile e poter fare di me ciò che volevano. Pensavano quei bastardi…percepivano il mio terrore…da sempre avevo avuto paura di loro e da sempre li avevo uccisi,ora era il momento della vendetta. Soliti pensieri da film,sapevo che non potevano capire e che per loro ero solo un buon posto in cui vivere. Con quelle zampette e le antennine mi camminavano addosso sfiorandomi e rilasciando bava e liquidi che pizzicavano…era orribile. Entrarono nelle orecchie,li sentii su per le dita…sotto la pelle…addirittura si erano intrufolati sotto la pelle del pene. Il dolore che provai fu:indescrivibile. Nemmeno se avessi il “Dizionario delle sensazioni orrende” con più di mille vocaboli non saprei descrivere minimamente quello che provai nel sentirli dentro di me…nel sentirli sotto la pelle. Non mi stavano mangiando vivo,bensì stavano creandosi degli spazi per deporre le uova e procreare…ce l’avevano fatta…le membra mi si contrassero a tal punto,per lo sforzo di contenere quelle cose che il corpo non riconosceva,che uno spasmo mi fece cadere,e la sedia con me naturalmente…sbattei la testa contro qualcosa,un tubo forse…e così mi feci un taglio in fronte da cui sgorgò il sangue,che ore prima avevo temuto mi avrebbe ucciso. In ogni caso le mani,non so come,si erano liberate dalle catene,iniziai a grattarmi con un impeto bestiale,come se avessi voluto strapparmi quella pelle e liberarmi dei nuovi ospiti indesiderati che ne avevano preso il possesso. Mi toccai dappertutto e dappertutto trovai solo bozzi,erano loro,loro che scavavano in me,disgustoso. Mi slegai infine anche le gambe e m’alzai in piedi. Urlai per la prima volta. Urali fino a che non sentii qualcosa in gola…tossii... sputai… ma non successe nulla…m’infilai un dito in gola e cercai di vomitare. A quel punto vidi un mucchio informe,nero e bianco…erano…le uova con le mamme scarafaggio;non tutte,solo una parte di quel numero sterminato che s’era ormai annidato nelle mie interiora. Iniziai a correre. Dove stavo andando??...non ne avevo idea. Corsi per non so quanto tempo…avevo perso la cognizione,non sapevo se fuori dalla mia “prigione” era giorno o notte,non sapevo in effetti nemmeno da quanto tempo mi trovavo lì,né per quanto tempo mi ero dibattuto in preda al terrore. Mi scontrai contro un muro. Caddi e la ferita sulla fronte si riaprì,il sangue sgorgò ancora. Mi venne sete. Ma non osai bere il mio sangue…ero decisamente impazzito se l’idea di berlo mi aveva anche solo leggermente sfiorato la mente. Cercai di toccarmi e notai che gli scarafaggi erano ancora là…ancora là sotto…dentro me. Ma mi era passato il prurito. Non mi davano più fastidio,non sapevo che fare. Cercai di rialzarmi e nell’appoggiarmi al muro,con le dita,sfiorai qualcosa che tintinnò….vetro…mi vennero in mente le bottigliette che il farmacista mi dava ogni sabato. I sonniferi. Un giorno mi sarei ucciso con quelli se non fossi stato attento alle dosi,ma in effetti l’avrei fatto consapevolmente, perchè odiavo lo stato pietoso in cui mi trovavo. Con quei sonniferi dormivo e facevo incubi tremendi…ma mai peggiori della vita che m’aspettava là fuori,fuori dal quel mio monolocale del cazzo, fuori dalla quella città,dimora solo di puttane,papponi e poliziotti corrotti. In qualche modo mi ricordava quel film…Sin city,solo che l’unico peccatore ero io. Gli altri rappresentavano la normalità,tutti i bastardi che giravano in quel luogo erano frutto dell’inconsapevolezza del catafascio a cui stava andando incontro il mondo intero. Ancora una volta m’ero perso in quei pensieri…e m’accorsi delle lacrime che mi rigavano il viso…la rabbia che mi pervadeva era…era…presi una di quelle cose di vetro,la ruppi e con il lato tagliente sfregiai la pelle…dei tagli profondi,quasi fino all’osso,non vedevo nulla e continuai,sentii la liberazione…gli scarafaggi,quei bastardi,stavano uscendo…continuai e continuai…solo…non riuscii e tagliarmi il viso. Ancora non so come potei fare quel che feci...Caddi a terra privo di sensi…scosso dagli spasmi. Non sentivo il sangue fuoriuscire. Non sentivo nulla. Desiderai davvero morire…anni prima…verso i 15….avevo cercato di impiccarmi,che scemo ero. Attaccai la corda al bastone della doccia che dopo mezzo secondo si ruppe…io ne uscii incolume e nessuno lo seppe mai. Successivamente ci riprovai,cercai di tagliarmi le vene,ma mi mancò il coraggio e così iniziai a prendere i maledetti sonniferi…se li avessi avuti lì con me avrei fatto l cosa migliore…li avrei presi tutti e sarei morto. Era l’unica via d’uscita. Ma sarei morto dissanguato,ne ero certo. Mi risvegliai e pensai di essere nel mio letto,non ricordavo un accidente,poi mi toccai e capii dove mi trovavo. Mi rannicchiai in un angolo e iniziai ad attendere. Sono ancora qui che attendo….non so cosa,mi sento immortale. Forse sono passate solo poche ore dal mio risveglio,o giorni, non lo so.
E non lo saprò mai. Nessuno lo saprà mai. La pace che c’è qui è paradisiaca,non dover affrontare le giornate è liberatorio. Forse sono già morto e non lo so. Il paradiso in ogni caso non esiste,o almeno, lo spero, se esistesse sarebbe la conferma che c0’è anche l’inferno e in quel caso io finirei lì…a mangiare palle di fuoco,come mi raccontava mia nonna e ad essere frustato da Satana.


Io…che setta?.. ah…quella setta!...ecco...6 anni fa incontrai uno di loro,era pazzesco,pensava che Satana girasse sulla terra e si cibasse…assurdo,ma affascinante allo stesso tempo. Ero deficiente a quel tempo, credetti ad ogni cazzata che quello mi raccontò. Mi portò in una villa...in mezzo al bosco…che bosco?.. come che bosco?...Il Bosco…capito?...ecco…Questa villa…tetra,tipica villa da film dell’orrore,quelli di seconda categoria,che a vederli si spaventa solo la suocera demente…e salta dalla poltrona del cinema…insomma,quel tipo di villa. Camminammo fino ad una sala…enorme, c’erano,non so,decine o centinaia di persone sedute là,al centro…su quel marmo bianco,liscio,freddissimo. Trovai bellissimi gli abiti che indossavano,tutti rossi,identici. Quella gente era del tutto uguale,sorprendentemente erano tutti anche alti uguali…sconcertante…Non c’era nulla che li differenziasse. Nulla che potesse creare attrito in quella pace disumana,in quella calma paradisiaca. Non si erano accorti della nostra presenza. Mi disse: non venire. Ed entrò. Io rimasi ad attendere. Passarono le ore,la stanchezza mi prese,mi addormentai. Al mio risveglio non era ancora uscito,me ne andai,tornai a casa a dormire. Tornò da me,lui, chiese: vedrai ancora. Mi era piaciuto tutto quello che avevo visto…nonostante non mi avesse lasciato entrare,capii dal suo sguardo che di lì a poco sarebbe successo qualcosa. Se ne andò. Il giorno dopo:vuoi?,dissi di sì. Avrei fatto parte di loro. Andò via di nuovo…prima però mi guardò,uno sguardo che mi lasciò una sensazione spiacevole…terrore,era stato quasi un richiamo alle origini…qualcosa di primordiale…qualcosa di selvaggio…uno sguardo selvaggio che mi intimava di diventare come lui. Sconvolgente. Non lo vidi per un mese,quando tornò aveva un taglio profondo sulla mano,come se qualcuno avesse strappato un pezzo di carne da quel punto preciso. Mi prese la mano e andammo alla villa. Sapevo,come mi era successo in precedenza, che qualcosa sarebbe successo,non sapevo di preciso cosa…ma qualcosa…di certo qualcosa di estremamente eccitante. Nella magnifica sala col marmo e le pareti decorate,non c’era assolutamente nessuno;era spoglia…la vidi per com’era realmente:una stanza vuota senza alcun colore l’unica cosa ch’era bella come quando l’avevo vista la prima volta era il marmo…splendente. Mi faceva paura,quel vuoto era un colpo al petto per me. Se avessi potuto avrei dette che volevo andare via…ma non lo feci;in un certo senso la curiosità premeva in me nel cercare di capire che diavolo stava per accadere. Spogliati,disse. Lo feci. Era umiliante,mi sentivo come uno di quegli ebrei sottoposti a soprusi dai nazisti,era umiliante e spaventoso. Afferrai il suo intento,e mi rassegnai a ciò che avrebbe fatto…ma mi sbagliavo…prese solo uno di quegli abiti rossi,e disse:ecco. Due di quelle persone vestita di porpora vennero e con lo sguardo mi fecero capire che dovevo indossare l’abito…ero parte di loro adesso. Andammo via. E vi ritornammo dopo circa venti giorni…l’attesa era lacerante. Arrivati vedemmo la moltitudine di Rossi che stava seduta nel centro della sala come avevano fatto la prima volta che li vidi. Uno di loro venne da me e mi porse una scatoletta metallica,alquanto sporca,la aprii e dentro c’erano ago e filo. Che significato poteva avere?,riuscii a pensare solo quello,perché dopo pochissimi secondi mi iniettarono qualcosa e mi addormentai di botto. Forse dormii un’ora,forse due...che importanza poteva avere?...Mi risvegliai. Sentivo una sensazione stranissima,freddo in tutto il corpo e il sudore non mi dava tregua,forse avevo la febbre. Alzai solo il capo,ero per terra,le gambe stese, vidi un Rosso con qualcosa sul braccio,una macchia…rossa…sangue!. Provai ad alzarmi ma ero debole, mi toccai tutto il corpo,cercai i piedi…ma non li trovai. Che era successo ai miei piedi?...Non sentivo alcun dolore ai moncherini. Ricordai l’ultima cosa che avevo sentito prima di addormentarmi,qualcuno aveva detto: capirai. Ed ora uno dei Rossi si avvicinò a me e disse: capito?. Ovviamente avevo capito tutto,con quell’ ago e quel filo dovevo ricucirmi i piedi ai moncherini. Ma dov’erano i piedi?. Lo stesso Rosso li tirò fuori dall’abito e me li porse. Iniziai. Ma ad un tratto una fitta lancinante mi colpì. Il Rosso mi aveva dato una martellata ai moncherini…la testa iniziò a girare,il sangue a colare. Un male indescrivibile. Gli altri Rossi guardavano la scena in modo soddisfatto,quasi che fossero felici di quello che m’era successo. Urlai ma nessuno sembrava turbato da quelle mie urla strazianti,mi facevano male alle orecchie,le mie stesse urla di dolore mi portavano ad altro dolore. Quando riuscii a calmarmi un po’,tanto da non tremare,infilai il filo nell’ago e iniziai a cucire…ci misi un’eternità,l’ago che entrava nella pelle e poi usciva,il filo che passava,la testa pulsava,il sangue continuava a colare…Finii ciò che avevo iniziato. Il Rosso che mi aveva martellato venne da me : con noi. Disse così. E solo ora ero davvero parte di loro,ì,lo capii al volo. Alla fine lui venne da me,andammo a casa. Non a casa mia,che avrei detto? Che avrei raccontato a proposito dei piedi?. Andammo a casa sua:una baracca,sudicia,piccola,un tanfo terribile la impestava,sul tavolo c’era del cibo,un piatto pieno di carne,non era cotta…mi girai da un lato e vomitai. La mattina mi svegliai ed ero su una sedia a rotelle,dalla sera prima probabilmente ma a causa del dolore non l’avevo realizzato. La sera lo vidi tornare,ero felice,saremmo tornati dai Rossi. Erano di nuovo seduti al centro della sala. Mangiavano carne,rossa,insanguinata,esattamente come quella che c’era a casa sua. Uno di loro per la prima volta mi guardò in viso. Quel viso…distrutto,le carni lacerate,le ferite aperte e insanguinate…sorrideva però! Un sorriso subdolo e spaventoso. Mi prese e mi portò in una stanza…al centro una sedia. Seduta: una donna. Lea osservai,indifesa su quella sedia…legata,imprigionata. Alzai il cappello che le copriva il volto,e la vidi,era lì...mia madre…che fare?...Lì con la mia sedia a rotelle,che accidenti potevo fare?...in mano stringeva un coltello,un segno dei Rossi. Lo presi e iniziai il mio dovere…il sangue schizzava,il mio viso si contorceva in maschere di piacere e di dolore nello stesso tempo,quella era mia madre,non riuscivo a realizzarlo ma nel profondo lo sapevo. Sapevo che non si trattava di una preda come tante altre…quella…era…mia…madre!. Non potei uscire fin che non finii tutto il lavoro. Alla fine uno dei Rossi si avvicinò a me e disse: Vieni!. Andai con lui e arrivammo in una stanza vuota e buia…peggiore della prima,se ne andò e dietro di sé richiuse la pesante porta. Passarono i giorni e ad un tratto,in una di quelle giornate di reclusione che accettavo come parte della mia vita tra i Rossi,sentii un tonfo e la porte venne abbattuta. Uomini in tute e divise blu,rosse e gialle…colori che non potevo realmente vedere,i miei occhi si erano abituati all’oscurità…potevo solo immaginarli,entrarono e mi portarono via. Cercarono di farmi alzare in piedi e alla fine capirono che senza una sedia a rotelle non saremmo andati oltre. Uno di loro mi prese in braccio e di lì a poco mi ritrovai in una stanza simile alla precedente…solo più pulita. Non potevo cibarmi i quel luogo,rimembravo ancora la notte con mia madre e cercavo frammenti di pensieri normali, ma ormai per me era quella la normalità. uccidere e cibarsi…non sapevo più cosa ci fosse intorno a me perché godevo e vivevo solo per quello. Una mattina,o almeno…penso che fosse mattina dato che mi svegliò una sorta di spiraglio di luce attraverso la porta, mi sedetti in modo adeguato e iniziai a guardarmi intorno,potevo quasi vedere tutto,le pareti…i mattoni,i colori,nonostante il buio. Mi diressi spingendomi verso una parete,volevo ,non so…presumo che volessi romperla a forza di sbattermici contro..,o forse era solo la stanchezza e che mi faceva comportare in quel modo…fatto sta che la parete si ruppe e io mi spinsi in quello che pareva un corridoio…Non so per quanto vagai e se qualcuno lo scoprì mai. Arrivai in un punto dove le ruote della sedia non giravano…ero nel panico,ma poi dopo poco si sbloccarono e tutto ritornò tranquillo; ad un tratto sbattei contro qualcosa che stava per terra…mi abbassai e toccai con mano: Una persona! Potevo di nuovo cibarmi…la testa di quella si mosse e non capii se fosse maschio o femmina…ma cosa poteva interessarmene…volevo solo cibare il mio corpo,a morsi direttamente. E mentre lo facevo la mia preda non urlava ma sorrideva. Il piacere per me era tornato.

Sei arrivata finalmente…ti aspettavo.

 

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